venerdì 14 giugno 2013

MENTE UMANA ED EMERGENZA

Come si comportano le persone nelle situazioni di emergenza?
Ci sarà capitato nella vita di sentire espressioni come “Ho avuto sangue freddo!” o “Si è fatto prendere dal panico!” da persone che hanno vissuto un evento particolarmente minaccioso. Questi modi di dire, che sono ormai entrati nel nostro linguaggio comune, fanno intuire la diversità delle risposte umane dinnanzi a un pericolo. In emergenza si parla del riflesso “fight or flight” ovvero, “combatti o fuggi”. Se ci pensiamo bene, non serve un evento calamitoso per farci combattere o fuggire, ma anche nella vita di tutti i giorni ci sono delle microemergenze che ci fanno riflettere e decidere se affrontare la situazione o se scappare da essa. Ma perché o lottiamo o scappiamo? Per mettere in atto un’azione di fuga è necessario prima di tutto percepire l’evento, capire di cosa si tratta, prendere una decisione e, alla fine, metterla in atto attraverso un’azione. Ognuno di queste fasi richiede un certo tempo e, durante una situazione di emergenza, i tempi sono molto rapidi e non permettono alle volte di soffermarsi a ragionare sul da farsi. La velocità di questo processo dipende dalla disponibilità e dall’accessibilità di informazioni che abbiamo relative a quelle situazioni (o situazioni simili): se abbiamo già vissuto un’esperienza di emergenza e quindi sappiamo come affrontarla, la velocità di attuazione di una risposta sarà massima effettuando, così, un’azione immediata. Se nel nostro magazzino cognitivo ci sono più risposte attuabili a quell’evento sarà necessario più tempo per prendere la decisione migliore; se non esiste in memoria una risposta comportamentale appropriata dovrà essere creata e questo richiede ancora più tempo. A volte, siamo talmente impreparati per la nuova situazione che non siamo nemmeno in grado di generare una condotta adeguata. E in questo caso cosa succede? Rimaniamo paralizzati, ovvero abbiamo un totale (o parziale) congelamento dei movimenti impedendo così la messa in atto di qualsiasi comportamento. Questa reazione prende il nome di freezing.
Ma l’unione fa la forza? Non sempre è così. Quando ci si trova con altre persone, ci sono altri due processi che portano all’inazione di fronte a un pericolo. Si parla di ignoranza pluralistica quando, all’interno di un gruppo, ciascuno pensa che gli altri abbiano più informazioni sulla situazione e quindi, di fronte a un evento ambiguo, le persone osservano il comportamento altrui per cercare di interpretarlo senza considerare che anche gli altri fanno lo stesso. Immaginiamo una scena di vita quotidiana: siete al supermercato e improvvisamente sentite un forte rumore. La prima reazione che avrete sicuramente è quella di guardare il salumiere, le altre persone accanto a voi per capire cosa sta succedendo. C’è, dunque, un guadarsi attorno per valutare le risposte degli altri e poi decidere. Un altro processo è quello della diffusione di responsabilità che avviene quando una persona, per il solo fatto di trovarsi assieme ad altri, non ritiene di dover intervenire poiché crede sia responsabilità altrui. Immaginiamo il solito supermercato: un anziano mentre aspetta di prendere la carne cade a terra. Noterete, almeno per i primi attimi, che nessuno si avvicina perché tanto sappiamo che lo farà qualcun altro.
Quindi, la decisione di allontanarsi o di affrontare un pericolo (o qualsiasi evento) dipende non solo da caratteristiche personali, ma anche da quelle situazionali e psicosociali.
Sulla base di quanto detto, le esercitazioni che vengono svolte a lavoro, a scuola e in altri ambiti sono importanti proprio perché l’acquisizione di conoscenze e abilità è cruciale nel produrre sequenze automatiche per prevenire il rischio di rimanere bloccati davanti al pericolo.

9 febbraio 2013, Psicologica ...Mente, rubrica della Dr.ssa Valeria Catufi

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